Gli italiani e la condivisione di dati personali online nel periodo pre-lockdown

La condivisione dei propri dati personali sulle piattaforme digitali preoccupa il 45,4% degli italiani, ma, allo stesso tempo, il 38,4% riconosce che le informazioni relative alla propria persona abbiano un valore per molti data collectors. Inoltre, le regole sulla tutela della privacy applicate dai data collectors non piacciono al 41,1% degli italiani e c’è ancora incertezza rispetto al grado di consapevolezza su come vengano utilizzati i propri dati dopo averli condivisi.

I dati sulla posizione – location data –  non vengono condivisi di buon grado dagli italiani che, nei casi in cui lo fanno, li affidano soprattutto alle app per la navigazione. Whatsapp è l’azienda che desta meno preoccupazioni in merito alla tutela dei dati sensibili (50,7%), mentre quasi un italiano su cinque ha ricevuto spam da aziende sconosciute.

Lo stesso scenario di scarsa fiducia nei confronti della condivisione delle proprie informazioni personali si ripete in tutto il mondo, con differenze e sfumature che contraddistinguono i vari paesi.

Questo è quanto emerge dall’ultima ricerca – condotta in Italia da BVA Doxa e all’estero dal network di appartenenza WIN, in collaborazione con ESOMAR – relativa agli atteggiamenti delle persone quando sono chiamate a condividere i propri dati personali con le aziende, soprattutto nel contesto digitale. I dati fotografano lo stato dell’arte nel periodo ottobre-dicembre 2019, prima dell’insorgere dell’emergenza sanitaria legata al COVID-19.

GLI ITALIANI E LA CONDIVISIONE DI DATI PERSONALI ONLINE – In una società sempre più dipendente dal digitale e dai servizi offerti dalle piattaforme online, in Italia la condivisione delle proprie informazioni personali sulle piattaforme digitali è fonte di preoccupazione per quasi la metà degli intervistati (45,4% concordano [1] con questa affermazione, contro il 6,7% che non è d’accordo). C’è invece minore consenso sul fatto che la condivisione delle informazioni personali sia vitale e necessaria per partecipare al mondo connesso e digitalizzato: il 18,3% degli italiani è d’accordo, mentre la quota di chi non è d’accordo raggiunge il 23,1%, un dato, quest’ultimo, che giustifica in parte le preoccupazioni espresse precedentemente.

Il 38,4% degli italiani, poi, riconosce che le informazioni personali abbiano un valore per molti data collectors, al contrario dell’8,6% che invece non riconosce questo potenziale. Per quanto riguarda le regole sulla privacy dei data collectors, non piacciono al 41,1% degli intervistati (vs il 6,3%), mentre c’è incertezza rispetto al grado di consapevolezza su come vengano utilizzate le proprie informazioni personali dopo averle condivise con i data collectors: il 25,8% si dichiara consapevole, mentre il 16,1% non ne ha idea (con oltre il 58% che ha una consapevolezza parziale).

LA PROPRIA POSIZIONE SI CONDIVIDE CON DIFFIDENZA – Passando alla condivisione della propria posizione – location data – il 31,7% degli italiani dichiara di non condividerla quasi mai quando viene richiesto, il 22,5% afferma, invece, che non gli è mai stato richiesto, mentre rispettivamente il 18,8% e il 17,7% sostiene di averla condivisa raramente e qualche volta. Chi la condivide più spesso è invece in netta minoranza (9,3%)

La probabilità che la propria posizione venga condivisa per usufruire di un particolare servizio è più alta per le app di navigazione (il 31% degli italiani lo ritiene molto e abbastanza probabile), mentre scende quando si tratta di social media (19%), aziende di car sharing (11%) e servizi di streaming come Netflix (11%).

WHATSAPP L’AZIENDA DI CUI CI SI FIDA DI PIÙ – In testa alla classifica delle aziende di cui gli italiani si fidano di più quando si tratta di mantenere i propri dati privati c’è Whatsapp (50,7%), seguita da Google (41,8%), Apple (36,3%), Amazon e Youtube (entrambe il 35,8%) e Facebook (33,7%). Più indietro, invece, si trovano Instagram (29,1%) e Twitter (23,4%).

QUASI UN ITALIANO SU CINQUE HA RICEVUTO SPAM DA AZIENDE SCONOSCIUTE – Venendo poi ai rischi concreti, negli ultimi due-tre anni al 18,6% degli italiani è capitato di ricevere spam da aziende con le quali non avevano mai avuto a che fare. A questa eventualità seguono il phishing (14,8%), la diffusione non autorizzata di dati personali (8,1%), l’hackeraggio dell’email (5,2%) e del conto bancario o della carta di credito (3,8%).

UNO SGUARDO SUL MONDO – Allargando l’orizzonte al resto del mondo, la preoccupazione nei confronti della condivisione delle proprie informazioni personali è  sentita ovunque, soprattutto in Brasile e India (70%), Stati Uniti (69%), Messico e Sudafrica (60%). Tra i paesi Europei, troviamo tra i più preoccupati la Grecia (58%), la Finlandia (57%) e l’Irlanda (54%), mentre tra i meno preoccupati la Germania (41%) e la Svezia (35%). A livello globale, poi, il 42% delle persone è consapevole del fatto che le loro informazioni personali siano importanti per i data collector, ma solo il 22% in tutto il mondo considera la condivisione dei propri dati personali come vitale e necessaria in un mondo connesso. Questo lascerebbe intendere che molti consumatori considerano la raccolta di dati una questione unilaterale: è preziosa per le aziende, ma, nel complesso, non è considerata fondamentale.

Sempre a livello globale, solamente il 25,7% dei cittadini è a conoscenza di ciò che accade alle proprie informazioni personali dopo averle condivise con un data collector. Inoltre, l’Europa è al primo posto tra i continenti che non apprezzano le policy sulla privacy attualmente in vigore per la raccolta dei dati, a +6 punti percentuali dalla media globale: il 46% degli Europei non le apprezza, contro il 40% nelle Americhe, il 35% in Africa e in Sud Est Asiatico, e il 34% nel Medio Oriente e Nord Africa.

Vilma Scarpino, Presidente di WIN e CEO di BVA Doxa ha commentato così i risultati dello studio: “La digitalizzazione delle nostre vite cresce esponenzialmente nel contesto attuale. Sebbene le persone riconoscano il valore della tecnologia, sono preoccupate per la condivisione delle loro informazioni personali, e il livello di fiducia tra i diversi attori in questo mercato è basso. Nonostante i diversi livelli di preoccupazione in base all’età o all’istruzione mostrati da questo sondaggio globale, differenze interessanti possono essere analizzate in modo più approfondito nei risultati relativi a ogni singolo paese”.

[1] La domanda è stata posta chiedendo di assegnare un valore su una scala da 1 a 10, e “d’accordo” è calcolato sommando i valori 8, 9 e 10. Al contrario, “non d’accordo” è il risultato della somma dei valori 1, 2 e 3.

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